FESTA DEL MAJO - Non sappiamo esattamente datare questa tradizione ma, rinvenendo in essa elementi di riti pagani compenetrati da elementi religioso-cristiani, siamo orientati a collocarla intorno al VI – VII secolo dell’era volgare. Comunque sia è certo che il Majo costituisce il più antico rito folkloristico-religioso di San Giovanni Lipioni; si rappresenta il primo maggio di ogni anno e si caratterizza di due momenti importanti: rito religioso e augurio alle famiglie del paese. Il giorno prima, il 30 aprile, i giovani del paese raccolgono nei boschi i fiori di stagione,soprattutto ciclamini che, riuniti in piccoli mazzetti, vengono fissati su una croce inghirlandata nella Cappella di S. Liberata dove viene celebrata la S. Messa, conclusa la quale, si torna in processione alla Chiesa Madre portandovi, insieme al Majo, le statue di San Giovanni Evangelista e di S. Liberata. Qui rimarranno fino al 16 ottobre per essere ritrasferite nella Cappella Rurale il giorno dopo. Il significato della doppia residenza delle statue suddette ci sembra di lettura non difficile: quando una parte della comunità originaria si trasferì dalla grangia al paese attuale, è verosimile che tra questi ed il gruppo rimasto si aprì un contenzioso circa il possesso delle due statue, ed è altrettanto verosimile che fù adottata la salomonica decisione di tenerle sei mesi ciascuno, scongiurando così la dolorosa eventualità di separare le due statue assegnandone una per ogni contendente. Quando i due gruppi si ricongiunsero fu mantenuto questo rituale giustificando con la protezione dei campi nei periodi invernali e con la benedizione delle messi nel periodo estivo. Finita la cerimonia religiosa, nel primo pomeriggio, si inizia la fase augurale. Stornellanti e musicisti si fermano ad ogni porta contando la filastrocca augurale, ove il sacro ed il profano si toccano: "Ecche, ecche Maj’ Re de li Signure la crona specchie dè la cumpagnìe e venghe, venghe Maj’ e venghe di bonanne Filippe e Giacume fùre li primi fiure a Santa Croce vè a li tre dìe Apprisse a Maj’ si ni ve la scienze l’urie ha spicate e lu grane mo’ cumenze e venghe, venghe Maj’ e venghe di bonanne Patrone mi vàttine a la cantine si ‘nin tì lu vicale porta la tine Patrone mi vàttine a lu prusutte si ‘nin ti lu curtille pòrtile tutte. Patrone mi vàttine a lu nide Si ‘nin trove l’ove port la galline Patrone mi vàttine a lu lardare taglie ‘ncime e guardite li mane” A conclusione della seconda strofa, la compagnia di cantori improvvisa, sul ritmo e le note della filastrocca, un augurio personalizzato per ogni famiglia: si fanno gli auguri di guarigione se in casa qualcuno è malfermo in salute; si fanno gli auguri di contrarre un buon matrimonio se in famiglia c’è una giovinetta in età da marito e cosi di seguito, ben conoscendo la compagnia quale può essere l’augurio più propizio per ognuno dei nuclei visitati. Ad auguri ultimati dopo aver ricevuto il mazzetto di fiori staccato dalla croce, la famiglia visitata offre un rinfresco con dolci, prosciutto, ventricina e formaggi. Nessuna famiglia viene lasciata senza gli auguri di un buon raccolto (bonànne) e senza gli auguri personalizzati . La cerimonia avrà conclusione a tarda notte.
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